[CINEMA] Martyrs: la recensione
Dalla collaborazione con Paper Street
Martyrs - Pascal Laugier
di Andrea Chimento
Uno dei filoni più interessanti e innovativi del cinema degli ultimi anni è il cosiddetto nouveau horror francese.
Un filone dove nella maggior parte dei casi si vanno a superare le soglie del visibile con immagini di estrema violenza, ben motivata però dalle situazioni raccontate e dalla messa in scena utilizzata per farlo.
Un filone di cui fanno parte film usciti nelle sale italiane come Alta tensione di Alexandre Aja, Frontière(s) di Xavier Gens oppure Them di David Moreau e Xavier Palud.
I risultati però più interessanti fra questi, sono di due film che, a differenza dei sopracitati, nelle sale italiane non sono mai usciti: Cannibal Love di Claire Denis e A l’intérieur di Alexandre Bustillo e Julien Maury.
Il film della Denis, forse il vero capostipite di questo sottogenere, colpisce per la presenza di sequenze di violenza cannibalica estrema, accompagnate però da una forma (e da una musica) estremamente elegante e delicata che va a creare una contrapposizione estremamente affascinante per lo spettatore; A l’intérieur porta all’estremo questo concetto: la violenza, il sangue, le ferite arrivano ad un livello estremo probabilmente mai visto sul grande schermo, queste però sono accompagnate da una regia che sembra distaccarsi dalle immagini in una maniera quasi metafisica.
Oggi nelle sale italiane arriva Martyrs, ultima opera del filone, che viene presentato come un film che porta ancor di più all’estremo le tendenze degli horror francesi degli ultimi anni.
La seconda opera di Pascal Laugier mantiene questa promessa soltanto in parte. Se è vero che la violenza raggiunge livelli forse mai visti prima, questa però non viene accompagnata dalla perfezione formale dei film che tenta di superare.
L’inizio del film è ottimo e di indubbio fascino, ma col passare dei minuti la regia di Laugier si fa sempre più confusa e indecisa su quale strada prendere. Il regista divide il film in tre parti, facendolo ripartire (quasi) dall’inizio, con una storia nuova, ogni volta.
Questa scelta narrativa porta il film a dei momenti di stanca e di noia per lo spettatore che nemmeno le scene di estrema violenza riescono a superare.
Una violenza che, come detto, c’è ed è tanta ma sembra quasi che Laugier si affanni in continuazione per superare quella dei film precedenti francesi e per ampliare al massimo i limiti del visibile, con la sola motivazione di arrivare ad una parte finale dove bisogna giustificare il titolo del film.
La violenza fatta su giovani ragazze è dettata infatti dalla volontà, di una particolare setta, di creare dei martiri: testimoni che tramite le sofferenze subite riescano a vedere la morte e possano comunicare ciò che hanno osservato prima di morire definitivamente.
Uno sviluppo narrativo che è appunto un grande pretesto per superare i limiti della violenza sul grande schermo e che sfocia in un finale “mistico” con un colpo di scena altamente superficiale e privo di qualsiasi spessore spirituale; al contrario di quello che si prefiggeva di essere.
Rimane il grosso rimpianto che il pubblico italiano andrà a conoscere questo interessante filone più per un film come Martyrs che per l’ottimo A l’intérieur che ancora la distribuzione italiana non si degna di mostrarci.
Un film, quello di Alexandre Bustillo e Julien Maury, che a differenza di Martys dovrebbe essere recuperato da ogni cinefilo che si rispetti e non soltanto dagli amanti del genere horror.
Un filone dove nella maggior parte dei casi si vanno a superare le soglie del visibile con immagini di estrema violenza, ben motivata però dalle situazioni raccontate e dalla messa in scena utilizzata per farlo.
Un filone di cui fanno parte film usciti nelle sale italiane come Alta tensione di Alexandre Aja, Frontière(s) di Xavier Gens oppure Them di David Moreau e Xavier Palud.
I risultati però più interessanti fra questi, sono di due film che, a differenza dei sopracitati, nelle sale italiane non sono mai usciti: Cannibal Love di Claire Denis e A l’intérieur di Alexandre Bustillo e Julien Maury.
Il film della Denis, forse il vero capostipite di questo sottogenere, colpisce per la presenza di sequenze di violenza cannibalica estrema, accompagnate però da una forma (e da una musica) estremamente elegante e delicata che va a creare una contrapposizione estremamente affascinante per lo spettatore; A l’intérieur porta all’estremo questo concetto: la violenza, il sangue, le ferite arrivano ad un livello estremo probabilmente mai visto sul grande schermo, queste però sono accompagnate da una regia che sembra distaccarsi dalle immagini in una maniera quasi metafisica.
Oggi nelle sale italiane arriva Martyrs, ultima opera del filone, che viene presentato come un film che porta ancor di più all’estremo le tendenze degli horror francesi degli ultimi anni.
La seconda opera di Pascal Laugier mantiene questa promessa soltanto in parte. Se è vero che la violenza raggiunge livelli forse mai visti prima, questa però non viene accompagnata dalla perfezione formale dei film che tenta di superare.
L’inizio del film è ottimo e di indubbio fascino, ma col passare dei minuti la regia di Laugier si fa sempre più confusa e indecisa su quale strada prendere. Il regista divide il film in tre parti, facendolo ripartire (quasi) dall’inizio, con una storia nuova, ogni volta.
Questa scelta narrativa porta il film a dei momenti di stanca e di noia per lo spettatore che nemmeno le scene di estrema violenza riescono a superare.
Una violenza che, come detto, c’è ed è tanta ma sembra quasi che Laugier si affanni in continuazione per superare quella dei film precedenti francesi e per ampliare al massimo i limiti del visibile, con la sola motivazione di arrivare ad una parte finale dove bisogna giustificare il titolo del film.
La violenza fatta su giovani ragazze è dettata infatti dalla volontà, di una particolare setta, di creare dei martiri: testimoni che tramite le sofferenze subite riescano a vedere la morte e possano comunicare ciò che hanno osservato prima di morire definitivamente.
Uno sviluppo narrativo che è appunto un grande pretesto per superare i limiti della violenza sul grande schermo e che sfocia in un finale “mistico” con un colpo di scena altamente superficiale e privo di qualsiasi spessore spirituale; al contrario di quello che si prefiggeva di essere.
Rimane il grosso rimpianto che il pubblico italiano andrà a conoscere questo interessante filone più per un film come Martyrs che per l’ottimo A l’intérieur che ancora la distribuzione italiana non si degna di mostrarci.
Un film, quello di Alexandre Bustillo e Julien Maury, che a differenza di Martys dovrebbe essere recuperato da ogni cinefilo che si rispetti e non soltanto dagli amanti del genere horror.
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