di
Luca Fornaciari

[IL FUMETTO] Watchmen - Critica a Ozymandias


Attenzione! Contiene SPOILER sulla storia di Watchmen!

Allora, mettiamo subito le cose nero su bianco, senza che nulla si mischi e diventi grigio: Ozymandias è un egocentrico yuppi con manie di protagonismo, pronto per l’archivio mitomani del New Frontiersman.

Il problema è classico: il fine giustifica i mezzi? O meglio: come dice giustamente il dottor Manhattan prima di trasferirsi in un’altra galassia, nessuno sa cosa succederà alla fine, nessuno può dire se davvero Veidt ha fatto la cosa giusta. Dunque: il fine giustifica le azioni, a prescindere dalla loro qualificabilità come mezzi?

Innanzitutto, “I racconti del Vascello Nero”: il protagonista della storia agisce con un fine inoppugnabile, convinto che la più terribile delle sventure si sia abbattuta sui suoi cari. Spinto da questo, commette dei crimini (non paragonabili alla morte di 4 milioni di persone!): e allora, quel fine, giustifica le azioni? La risposta è chiara, ed è no. Non conta l’intenzione, il fine, l’idea: chi uccide gli innocenti, deve nuotare faticosamente fino al Vascello Nero che lo aspetta, ed unirsi alle altre anime dannate che lo popolano.

Un’anima dannata il divino Ozymandias dunque? Prima di tutto, e più di ogni altra cosa, Adrian Veidt è paradossalmente la totale antitesi dell’Oltreuomo di Nietzsche.

L’Oltreuomo è colui che sa dire sì alla vita, sempre e comunque: è colui che sa accettare la vita in ogni suo aspetto, con le sue contraddizioni, i dolori, le sconfitte, l’eterno ritorno senza speranza e senza uscita, che sa vivere senza dei e senza idoli, solo con la disperazione, che sa accettare la debolezza che è unica vera forza.

Ozymandias dice il più radicale no alla vita che si possa immaginare: non accetta il mondo, con le sue contraddizioni e la sua follia, vuole cambiarlo, e crede di poterlo fare, ha bisogno di dei e idoli (essenzialmente se stesso!), ha bisogno di sperare, di credere in una nuova utopia e di poter pensare un futuro migliore in cui lui sarà il signore incontrastato di un mondo pacificato.

Un mondo che ormai da lungo tempo, dalla comparsa del dott. Manhattan, ha perso ogni senso di responsabilità: gli uomini hanno rinunciato a gestire il mondo, lasciandolo a chi non è uomo, ma prodigio della scienza o intelligenza superiore. Il dottor Manhattan ha tolto all’umanità la possibilità di costruire il futuro con le proprie mani, Ozymandias allontana il “dio americano” solo per sostituirvisi, porta il mondo sull’orlo del collasso per poi poter dire di averlo salvato.

Ma gli uomini esistono ancora: c’è Rorschach, solo, ferito, fallito, che urla il suo sì alla vita. La accetta così come, con la sua insensatezza, guarda in faccia il baratro e l’orrore, e va avanti, perché il mondo è sporco e macchiato come la sua faccia, ma il nero e il bianco non potranno mai confondersi e diventare una grigia liquidità. Rorschach è un uomo che ha scelto, e che senza volerlo e senza accorgersene è in grado di cambiare il mondo: lo psicanalista Malcolm, dopo averlo conosciuto, diventa disposto a rinunciare a sé, alla riconciliazione con la moglie, pur di aiutare chi ha bisogno e non restare indifferente di fronte agli altri. Il giornalaio Bernard che tutti i giorni gli vendeva il delirante New Frontiersman, cerca di superare il muro d’indifferenza e conoscere il ragazzo che gli siede accanto. Il poliziotto Steve interviene per fermare il pestaggio di Aline, “Sono sempre io!” grida a chi vorrebbe la sua preoccupazione per il prossimo confinata ad un orario di lavoro.

Infine, Gufo Notturno: un altro uomo, profondamente uomo, che dichiara la sua faticosa amicizia per Rorschach e di certo non può che condividerne l’etica. E allora, perché non lo segue verso Anacleto per annunciare al mondo cos’è realmente accaduto? Perché Dan ha Laurie, il suo prendersi cura del mondo e guarirlo dalle sue ingiustizie per lui ha un volto e un nome: è più difficile ragionare per assoluti quando l’umanità è riassunta in un corpo e in una voce. Ma la scelta è la stessa, per i due come per Rorschach: accettare la vita com’è, e amarsi, nonostante tutto possa scomparire da un momento all’altro, e guardare in faccia l’orrore e dire di sì, sì a tutto, senza speranza e senza futuro, in un eterno presente.

Ozymandias, il poema di Shelley, è un inno crepuscolare alla grandezza del passato che non esiste più: il sovrano egizio ha costruito la civiltà più splendente che sia mai esistita, si è circondato di monumenti e vestigia che credeva immortali. Ora, per chi passeggia dove un tempo sorgeva il suo palazzo, si presentano alla vista solo pietre e rovine: la grandezza è un’illusione, l’immortalità un sogno per chi non sa accettare il presente. Nessun uomo può credere che il mondo sia in suo potere: né Alessandro il Grande, né Ramses, né il dottor Manhattan né Adrian Veidt.

La nostra povera terra, sciolta dalla catena del suo sole, vaga senza meta per la vuota infinità del cosmo: ma gli uomini, si sa, sono sempre stati bravi timonieri, fin dall’origine dei tempi.

Sabrina*


*Collaboratrice occasionale e ragazza del redattore Gianchi.

5 comments:

Gianchi said...

Che bell'articolo amore mio! Complimenti!!! (anche se non condivido il giudizio sul grande Ozzy!)

GIAN said...

commento molto figo. Adesso appena ho passato quest' esame mi ci metto anch'io sul fumetto e poi pubblico qualcosina.

Sabrina complimentoni! Bellissimo articolo!

Gian.. sai che il tuo non te lo pubblico vero?

Anonymous said...

conosco watchmen da poco, 5 anni (lo so è vergognoso), ma lo leggo e rileggo almeno 3 volte all'anno. E' avvolgente e potente.
Devo dire che questo è un bel commento ... ci vedo la mente di Moore, davvero!
Complimenti alla commentattrice

Anonymous said...

Tanto di cappello all'autrice dell'articolo !
Molto bello, ispirato, ma sopratutto "sentito" .

Una lacrimuccia però mi impone di spezzare una lancia a favore di Ozzy (grande Gianchi).

A mio parere Ozzy percorre una strada simile all'"innominato" dei Promessi Sposi, ma al contrario : il suo inizio è più luminoso della sua fine, ma almeno era capace di trasmettere tutta la tristezza e consapevolezza delle sue azioni (almeno secondo me) .
Mi sembrava come se, lui più di tutti, avrebbe sempre sofferto per ciò che ha fatto .
Secondo lui l'umanità ha bisogno di dei e idoli, ma non sembra volersi porre come tale per ambizione, quanto piuttosto per "minore dei mali" .

Per esempio, una delle cose che mi ha fatto accapponare di più la pelle nel film (che nulla c'entra con questo bellissimo articolo)è proprio il personaggio di Ozzy : dov'è finito il suo volto rassicurante (non per durezza, ma per "morbidità" dei lineamenti)? Dov'è finito il suo eterno sguardo malinconico ?

Scusate il lungo commento, e ancora complimenti per l'articolo !