di
Luca Fornaciari

Generazione Millennial: la novità è appena dietro di noi


Siamo la generazione millennial, o generazione Y che, per definizione, è diretta discendente della X, la cosiddetta generazione dei baby boomers. Di che sto parlando?
La generazione baby boomers è quella nata tra gli anni '60 e '70 durante il grande boom demografico, la cui diretta progenie, a partire dagli anni '80, è stata rinominata Millennial Generation o, per i più critici, la Me Me Me Generation, come scrive il brillante articolo di Johs Sanburn apparso sul Time in questi giorni.

Sanburn in apertura descrive una generazione egocentrica, individualista, con pochi ideali, ancor meno punti di riferimento e poca voglia di auto-affermazione rispetto alla precedente. Giovani "self-centered", talvolta arroganti, presuntuosi nell'ambito lavorativo di promozioni e aumenti ogni due anni, incuranti dei risultati che hanno raggiunto. Addirittura riporta una ricerca secondo la quale il disturbo narcisistico di personalità sarebbe fino a tre volte più alto rispetto ai nostri genitori.
Ho sempre avuto interesse per l'argomento e, magari in termini più miti, condivido diversi punti.

Poi leggo un interessante libro di Marcel Danesi "Eternamente giovani. L'«adolescenza» della cultura moderna", che in una sua parte riporta un'intervista rivelatrice, che scansa gli impietosi giudizi sulla nostra "gioventù bruciata" e restituisce una rincuorante speranza.

La generazione del cambiamento (imposto), abituata a mutare moda ogni anno, genere musicale, cellulare ogni mese, alla costante ricerca dell'acquisto più evoluto, più moderno del precedente, è in realtà annoiata da un cambiamento statico, prevedibile e vecchio nelle dinamiche.

E' la legge del contrappasso. Il mercato che propone un continuo cambiamento e ne abusa, finisce per dover cambiare il proprio modo di cambiare.

Tanto che in questa ricerca i giovani millennials, parlando di musica, confessavano di aver maturato un profondo interesse per la musica classica di Mozart e Beethoven, stanchi dei successi commerciali a rotazione e spesso privi di qualità.

I sopravvissuti a questo mio lungo articolo si staranno chiedendo che c'entra l'argomento con un blog dedicato principalmente al cinema. C'entra tanto. 
C'entra perché rispetto all'epoca dei baby boomers anche nel cinema e nel fumetto sono cambiati molti eroi e punti di riferimento. Nell'infinita scelta proposta dall'Era digitale si può trovare di tutto e la macchina dell'intrattenimento rigurgita ogni sorta di idea, purché apparentemente inesplorata e quindi probabile portatrice sana di interesse.
Il cinema ha esplorato a fondo le vie facili o meno tradizionali con l'unico scopo di inoculare un cambiamento, di attirare attenzione, quindi audience, quindi soldi. Lo si è visto in questi anni con prodotti carichi di qualunque tipo di messaggio moralmente discutibile, sesso, violenza, ecc..
Badate, non si parla di perbenismo. E' solo che in questi prodotti ho avuto la sensazione che l'idea insolita mirasse più a far parlare di sé, piuttosto che ad appellarsi ad un senso diffuso e ugualmente discutibile del tipo "essere moderni e civilizzati significa poter accettare e giustificare qualunque tipo di contenuto".
Arrivo al punto. La mia impressione, e ne ho già parlato presentando la serie Vikings che forse è l'esempio contemporaneo più calzante, è che una volta assuefatti da questo nuovo, ma già vecchio, modo di fare cinema/telefilm/fumetti, la naturale evoluzione stia portando a ricercare nuovamente un prodotto più curato nel contenuto che nell'impatto visivo, proprio per poter cambiare metodo e attirare  interesse.

Per un millennial anomalo come me che adora il cinema anni '60-'70 per la sua densità di morale al di sopra degli effetti speciali, o per la ricercatezza della trama e del linguaggio, al contrario di come oggi si cerca di ridurlo e semplificarlo al massimo, questo è uno scenario che mi auguro possa proprio avverarsi. Come me forse molti altri attendono silenziosi che, giocate tutte le carte più scontate, il cinema ritorni all'origine e ci salvi da una lenta perdita di dettagli e spessore.
Perché come qualcuno mi confidò una volta, la differenza la si fa proprio lì, nei dettagli.

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